Mia madre mi portò sull'isola che avevo appena due giorni. Era una mattina
di giugno, limpida e soleggiata. Il breve tragitto da Sala comacina all'isola
lo feci stretta fra le braccia della mamma accomodata all'interno di una
Lucia,guidata da un barcaiolo scontroso e taciturno,l'unico che a quel
tempo faceva servizio di traghetto.
Durante la traversata non piansi un solo istante tenendo gli occhi spalancati come a voler già assorbire l’incanto della luce sul lago e il lento sciabordio dei remi nell’acqua. Non appena la barca approdò all’imbarcadero dell’isola scoppiò un applauso fragoroso che salutò il mio arrivo con una potenza superiore a quella di un fuoco d’artificio.
Mio padre, il
Cotoletta, fingeva contrarietà, dicendo a tutti che avrei dovuto essere un
maschio, ma intanto mi sollevava dalle braccia della mamma per portarmi lui
stesso fino alla locanda, dove era stata allestita una culla degna di una
principessa.
Mia sorella ritrosa e un
po’ gelosa se ne stava appollaiata in cima ad una pianta dalla quale si decise
a scendere per fare la mia conoscenza solo parecchie ore dopo.
Portarono
subito la monumentale cesta di vimini all’aperto, perché mio padre sosteneva
che l’aria dell’isola mi avrebbe fatto crescere forte e robusta.
Fu così credo
che il tocco gentile della breva in quel
primo giorno tiepido d’estate si fece
largo tra i veli svolazzanti della culla , per fermarsi sulla mia pelle come il
bacio leggero di una fata.
Quattordici
anni dopo, il primo bacio d’amore arrivò direttamente dal lago, posato dolcemente
ed indelebilmente sulle mie labbra da un ragazzo che nuotava con me nell’acqua
limpida e trasparente che lambiva i gradini dello stesso imbarcadero. Un tuffo dal
pontile tenendoci per mano, e subito riemergendo la sua bocca si posò a
sorpresa sulla mia, mescolata alle gocce dell’acqua che scendevano iridescenti
sul suo volto abbronzato. Il bagliore nei suoi occhi scuri com’è scuro solo il
lago nel suo fondo si trasmise ai miei in un raggio di sole che ci avvolse
luminoso in un abbraccio di gioia.
L’emozione
prese a correre sulla superficie del lago come un’onda bizzarra che subito mi
decisi ad inseguire con quattro forti bracciate, allontanandomi così da quel ragazzo
che, senza saperlo, stava già catturando
il mio cuore.
Quell’estate
passò velocemente portandosi via con sé tutto l’oro di quel momento prezioso.
Lunghe giornate ed intere stagioni passarono,nuvole, piogge, cieli sereni e
burrascosi si alternarono nello scorrere denso di nostalgia del tempo.
Il ricordo di quell’ unico bacio, se ne stava accucciato
in un angolo della mia anima, come spesso
succede quando un sogno non vuole davvero morire.
Molti
anni dopo, era un giorno fresco e luminoso di giugno, me ne stavo pensierosa ad
ascoltare il rumore delle onde contro i gradini della scaletta a lago, seduta
sullo stesso pontile dal quale mi ero tuffata quella volta che un tuffo ancor più grande si
era impadronito del mio cuore. Una vecchia lucia dondolava in lontananza,abbandonata
ad una boa del lago.
Un raggio di sole prese improvvisamente a
danzare sulle onde rompendosi in un luccichio abbagliante, costringendomi ad
alzare lo sguardo e girare la testa verso l’imbarcadero.
Il ragazzo dagli occhi scuri com’è scuro solo il lago nel suo fondo, era lì, fermo dietro me e mi sorrideva tranquillo, come se tutti quegli anni non fossero neppure passati.
Il ragazzo dagli occhi scuri com’è scuro solo il lago nel suo fondo, era lì, fermo dietro me e mi sorrideva tranquillo, come se tutti quegli anni non fossero neppure passati.
Da
allora non ci siamo più lasciati.
da ALBERTINA NESSI - (Cernobbio - CO)
(autrice del libro: “L’isola che c’era”)
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